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Minerva di Arturo Martini

Piazzale Aldo Moro, 5, 00185 Roma, RM, Italia

Mattia Pagano

Minerva di Arturo Martini

Nel 1935, Piacentini descrive una Minerva «in atto di solennità e di impeto». La dea è uno dei soggetti mitologici centrali nel programma artistico-decorativo dell'università: oltre alla statua nella piazza principale, un'altra Minerva è raffigurata nel medaglione sopra la porta centrale dell’aula magna del rettorato. Il principale obiettivo della statua è quello di fungere da mediazione tra la tradizione classica dell’Impero Romano e il nascente Impero fascista. Doveva rappresentare un monito per tutti gli studenti che entravano in Ateneo, ricordando loro il glorioso passato romano e il futuro che li attendeva: la conquista del mondo. Questo spiega anche il cambio di nome: Atena era forse troppo distante dai valori classici romani, mentre Minerva incarnava perfettamente la romanità ricercata dal regime. Minerva esprimeva la dualità imposta dal regime all’università: istruzione e militarismo. «Le ho alzato le braccia ed è scoppiata la guerra» scrive A. Martini in una corrispondenza; la commissione e la realizzazione dell’opera coincidono infatti con l'inizio della conquista italiana dell'Etiopia. Per questo motivo, Martini definisce la statua «bella, ma maledetta». «La statua della dea guerriera Minerva è stata inaugurata nel 1935 alla Sapienza come metafora dell’invasione dell’Etiopia». Queste parole introducono un tweet di una ragazza, ex studentessa della Sapienza. La testimonianza è unica, poiché nessuno – almeno durante la mia ricerca etnografica – ha mai collegato la Minerva all'invasione dell'Etiopia. Alcuni sapevano che fosse legata a una guerra, ma, come mi dice uno studente, «è per la Seconda Guerra Mondiale». L’ex studentessa ricorda invece il panico che provava nel guardarla, non per gli esami, ma per quel senso di minaccia verso l'Africa che la statua esprimeva: «Volto placido, corpo guerresco e coloniale». Il tweet è nato come reazione indignata agli eventi avvenuti di recente nella città universitaria, negli ultimi giorni di ottobre, e come denuncia contro la violenza. Infatti, poco dopo l’ex studentessa prosegue: «Si va all'università per studiare, riflettere, confrontarsi, per mettere in pratica il proprio sapere critico. Non per essere picchiati. Di minacciosa basta davvero solo la Minerva».

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