SEDE NAZIONALE DELLA U.I.L
Via Lucullo, 6, Roma, RM, Italia
Michele Catapano

La storia della U.I.L è un po’ la storia d’Italia del Novecento. In essa si susseguono i nomi e gli ideali del Risorgimento, dell’antifascismo e della cultura della sinistra riformista e anticomunista. Questo fronte politico impregna tutta la documentazione prodotta ed edita dal sindacato, e resa disponibile sui suoi siti: sulla pagina web principale della U.I.L – sgranando il rosario dell’antifascismo anticomunista, dai Rosselli a Turati – si fa risalire l’ispirazione ideale dei valori del sindacato fino a Mazzini. L’edificio di via Lucullo 6, sede nazionale del sindacato, nel corso del secondo dopoguerra ha ospitato diverse organizzazioni, soprattutto di tipo assistenziale. Un documento video dell’Istituto Luce del 20 marzo 1948 testimonia un summit sulla cura dei bambini malati o denutriti, a cura di (non meglio specificate) organizzazioni umanitarie americane. Nel filmato la voce narrante del cinegiornale richiama, dato il tema, le mense luculliane del Satyiricon, ma non fa alcun accenno alla destinazione immediatamente precedente dei locali dell’edificio, ovvero quella di tribunale nazista. I nazisti istituirono qui il tribunale militare tra l’8 settembre 1943 e il 4 giugno 1944, in seguito all’attentato partigiano all’Hotel Flora. Una storia di torture, processi sommari e collaborazionismo segna dunque inevitabilmente l’edificio. Per questa ragione – nel 1986, per il quarantennale della Repubblica – viene commissionata allo scultore Ugo Attardi un’opera commemorativa, posta in strada a sinistra dell’ingresso della sede sindacale di via Lucullo. La scultura, intitolata “Per la libertà”, rappresenta perciò una modalità di riappropriazione storica e culturale per mezzo dell’arte di questo luogo che a lungo è stato una sorta di buco nero della nostra memoria. Diversa la storia della sede nazionale della C.G.I.L: lì è il tesoro artistico già presente in loco ad essere risignificato; qui, invece, viene precipuamente commissionata un’opera che racchiuda in sé tutto il patrimonio simbolico del luogo, “addomesticandone” la potenza rievocativa (per forza di cose) negativa. Un rapporto con il passato dei luoghi in cui il presente non è ostacolato da un “eccesso di passato”, ma in cui al contempo quello presente non diventi l’unico tempo registrabile (Hartog 2015: 10). In questo modo si costruisce, su ciò che rischiava di diventare un cono d’ombra del ricordo, un paesaggio del ricordo stesso, attraverso l’esercizio di una cultura (politica) che ne (in)forma lo spazio (Assmann 1997: 33-39).