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Palazzo della Civiltà Italiana

Quadrato della Concordia, Roma, RM, Italia

Simonetta Tocchi

Palazzo della Civiltà Italiana

Il Palazzo della Civiltà Italiana, chiamato anche Palazzo della Civiltà del Lavoro, «affettuosamente indicato come Colosseo Quadrato» (Guglielmi 2002: 408) per quegli archi così simili al Colosseo, si trova nel quartiere EUR. La progettazione dell’edificio - sollecitata dall’assegnazione dell’Esposizione Universale del 1942 alla città di Roma e dalla possibilità di celebrare in tale data il ventennale del regime fascista - risale al 1937, mentre la sua costruzione avrà inizio - a seguito delle relative e complesse dinamiche di concorso - nel luglio del 1938. In quegli anni l’architettura nazionale, le città, la monumentalità dei progetti diventano terreno di sfida tra Hitler e Mussolini, facendosi espressione di azioni politiche e delle rispettive ideologie totalitarie volte al futuro dominio sull’Europa. Parallelamente, infatti, i due regimi si preparano a compiere grandi imprese architettoniche, in particolare l’E42 e la ristrutturazione di Berlino. Proprio in risposta alla cerimonia per il Palazzo del Turismo a Berlino, il 30 giugno del 1938 iniziano i lavori per il Palazzo della Civiltà Italiana a Roma. La commissione è presieduta da Marcello Piacentini ed il progetto viene affidato agli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano. L’inaugurazione dell’edificio - ancora incompleto - avrà luogo nel 1940 ma, nel 1943, i lavori verranno interrotti e saranno completati soltanto nel dopoguerra.
L’edificio è alto 60 metri con una base di 53 metri. La struttura a pianta quadrata, che poggia su un basamento a gradini, è in cemento armato all’interno e ricoperta in travertino nella parte esterna. Su ognuna delle quattro facciate, che sono uguali fra loro e la cui forma suggerirà nel tempo ai romani un ulteriore soprannome, quello di “Palazzo groviera”, si trovano - ridotti nella versione definitiva - 54 archi, 9 in orizzontale e 6 in verticale. Sul palazzo viene scolpita in tre righe una citazione estratta da un discorso di Mussolini con riferimento alle sanzioni della Società delle Nazioni per la guerra d’Etiopia: “Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”. All’interno degli archi al piano terra dell’edificio si trovano, poi, 28 statue - 6 nelle facciate verso viale della Civiltà del Lavoro e la scalinata, 8 nelle altre facciate - con le quali si intese rappresentare le virtù del popolo italiano: eroismo, musica, artigianato, genio politico, ordine sociale, lavoro, agricoltura, filosofia, commercio, industria, archeologia, astronomia, storia, genio inventivo, architettura, diritto, primato della navigazione, scultura, matematica, genio del teatro, chimica, stampa, medicina, geografia, fisica, genio della poesia, pittura e genio militare. In ciascuno degli angoli del basamento, infine, emergono i monumenti equestri che raffigurano i Dioscuri, realizzati da Publio Morbiducci e Alberto Felci.
Nell’ambito dell’E42, Mussolini interviene nelle scelte progettuali e di carattere architettonico, chiede di modificare i disegni, si pone come obiettivo principale quello di mostrare alle generazioni future ciò che si era in quel momento.
Nel tempo l’utilizzo dell’edificio si è sempre rivelato sporadico e soltanto nel 2013, conclusi dal 2010 i lavori di restauro previsti dal Ministero per i beni e le attività culturali, il Palazzo della Civiltà Italiana si guadagna una denominazione più insolita delle altre che sembra incline ad «attenuarne il simbolismo» (Iuso 2021: 202): diventa “Palazzo Fendi”. Un accordo tra Eur S.p.A. e Fendi ha concesso all’azienda l’affitto del palazzo fino al 2028. Dichiarato edificio di interesse culturale e vincolato a usi espositivi e museali, è attualmente accessibile nella sua parte interna soltanto in occasione di particolari eventi o esposizioni. Le molte polemiche su tale assegnazione hanno raggiunto l’apice nel 2016, quando Fendi chiede di ritirare le immagini di una campagna per il Pride che avevano come sfondo il palazzo, ponendo al centro l’utilizzo dell’immagine e le contraddizioni che possono derivare dall’interazione di “pubblico” e “privato”; l’equivoco è stato chiarito con l’autorizzazione concessa da Fendi al Roma Pride, ma il dubbio insinuato da questa “concessione” di origine “privata” ha pervaso l’opinione pubblica.
Registi italiani e stranieri hanno contribuito forse, ancora prima della moda, a fare del Colosseo Quadrato un simbolo irrinunciabile per i romani, e non solo. Pur con le sue riconosciute insidie ideologiche e politiche, questo edificio si è trasformato addirittura - come nel caso citato - in un simbolo indispensabile per difendere valori e diritti che il fascismo non avrebbe mai riconosciuto. Un’icona, dunque, un edificio imponente che ancora oggi riesce a far “sentire piccole le persone”, che crea scompiglio - sui social e nella vita reale, sia in Italia e che all’estero - nel formarsi di un giudizio che nella maggior parte dei casi resta, tuttavia, sospeso tra la storia che l’architettura tanto fotografata dai visitatori racconta, e l’estetica - fortemente voluta da Mussolini - così difficile da rinnegare attraverso le generazioni, nonostante il dibattito e le inevitabili premesse “sociopolitiche”. Molti conoscono nel dettaglio l’ideologia e gli obiettivi che la costruzione del Palazzo della Civiltà Italiana porta con sé e molti si concentrano con inquietudine sul numero degli archi, e sul loro rimandare non troppo indirettamente al nome del Duce. Ci si avvicina con sospetto e diffidenza, eppure sembra che sulle solide mura di questo celebre edificio il cinema, l’arte e la moda abbiano voluto costruire un’altra immagine, sicuramente più glamour, un’immagine che, per la facilità con la quale è stata accettata, rischia di ammorbidire con un abile gioco di luci e di popolarità quei significati “scomodi” che a uno sguardo attento non possono sfuggire.

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