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Monumento ai caduti di Dogali

Via delle Terme di Diocleziano, Roma RM, Italia

Viola Aleida Massimi

Monumento ai caduti di Dogali

Igiaba Scego, scrittrice italiana di origini somale che al monumento di Dogali ha dedicato un video realizzato dalla web tv chiamata Termini tv, nel suo libro Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città riflette sulla possibilità di ripristinare la memoria collettiva sulla storia dei luoghi simbolici del colonialismo fascista per stimolare una riflessione critica.
L’Italia sembra non essersi mai confrontata davvero col suo passato coloniale, che non è stato adeguatamente discusso e affrontato nel dibattito pubblico. Nonostante ciò, in tutta Italia non sono mancate iniziative decoloniali sorte dal basso, capaci di coinvolgere la comunità. Tra queste annoveriamo quella lanciata dal collettivo Wu Ming nel febbraio 2021, che prende il nome di “Viva Zerai!”. Tale progetto – realizzato in collaborazione con il collettivo Resistenze in Cirenaica – ha come fine quello di decolonizzare l’odonomastica nel territorio nazionale creando una mappatura virtuale in continua evoluzione, che accolga le segnalazioni di luoghi legati al nostro passato coloniale da parte di chiunque desideri contribuirvi.
Come ha scritto Wu Ming 2, membro del collettivo, nell’articolo pubblicato nel blog Giap, il nome dell’iniziativa deriva dalla performance di Zerai Deres davanti al Leone di Giuda e all’Obelisco di Dogali, il cui gesto rappresenterebbe “la prima testimonianza in Italia di un gesto di ribellione contro il colonialismo, ispirato dal corredo urbano”.
Il Monumento ai Caduti di Dogali è un monumento celebrativo oggi situato in Viale Luigi Einaudi, nei pressi delle terme di Diocleziano, dedicato ai cinquecento soldati italiani morti nella battaglia di Dogali in Eritrea, combattuta durante la prima fase del colonialismo italiano nell’area.
Nel periodo successivo alla conquista dell’Eritrea il Comune di Roma intraprese l’iniziativa di far erigere un monumento dedicato ai soldati morti a Dogali il 5 giugno del 1887. L’inaugurazione avvenne nella piazza della Stazione Termini, poi ribattezzata “Piazza dei Cinquecento”.
Il monumento si componeva di un obelisco egizio risalente al XII secolo a.C., giunto a Roma con Domiziano e riportato alla luce nel 1883 nel corso di alcuni scavi archeologici. Con il regime fascista, in seguito alla conquista d’Etiopia, l’obelisco venne arricchito di una statua di bronzo del Leone di Guida, prelevato sul territorio etiope e posto sotto l’obelisco nel corso di una cerimonia pubblica ripresa dal cinegiornale dell’Istituto LUCE. Questa riconfigurazione del monumento si avvaleva di un forte significato simbolico: vendicare i soldati di Dogali.
Sarebbe stata proprio la statua del Leone di Giuda, stando alle narrazioni più ricorrenti, ad aver suscitato la commozione e l’indignazione di Zerai Deres.
Non si hanno fonti attendibili sulla sua biografia perché spesso i dati storici si sono mescolati a narrazioni leggendarie della tradizione etiope, che lo hanno trasformato in un simbolo identitario. In Roma negata Igiaba Scego riporta l’informazione che Zerai si trovasse a Roma per svolgere il ruolo di interprete presso i notabili etiopi deportati in Italia nel 1937.
Poco chiare sono anche le indicazioni sull’evento di cui Zerai si è reso protagonista. L’articolo intitolato “Amok with Sword. Abyssinian Shot In Rome”, pubblicato nel settimanale canadese The Northern Miner il 17 giugno 1938, riporta la notizia che pochi giorni prima, il 14 giugno, un giovane abissino, dopo aver visto il Leone di Giuda, aveva estratto una sciabola e iniziato a colpire le persone che gli erano vicine, finché non fu fermato da un proiettile sparato da un militare.
L’estremo atto di contestazione portato avanti da Zerai lo ha portato da un lato a diventare eroe della resistenza coloniale in Etiopia, e dall’altro ad essere vittima di censura da parte del regime fascista. Si tratta di un gesto di grande portata nell’ambito dei contemporanei processi di decolonizzazione perché restituisce soggettività ad un popolo, quello etiope, che nella retorica dell’Italia coloniale e fascista era stato rappresentato come inferiore e subalterno. Nel frattempo, il monumento ai caduti di Dogali resta lì, e non porta nessuna traccia di questa complessa e sofferta storia.

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