ISTITUTO L.U.C.E.
Piazza di Cinecittà, 11, 00175 Roma, RM, Italia
Chiara Lucia De Nuzzo

L’Unione Cinematografica Educativa “L.U.C.E” (nel seguito, “Luce”) venne fondata nel 1924 dal regime fascista con lo scopo di istruire il popolo italiano attraverso l’uso dell’immagine. Posta sotto il diretto controllo di Mussolini, fu “megafono” per la propaganda di regime, contribuì alla creazione del “Divo” Duce e alla narrazione della gloriosa storia dell’Italia.
Tutto il patrimonio dell’Istituto Luce – sedi, materiali, maestranze e attrezzature – è stato sottoposto a molteplici tentativi di alterazione, subordinazione e cancellazione da parte di diverse agenzie politiche, istituzionali e comunicative, con vari tentativi di manipolazione della sua memoria storica.
Durante la guerra in Etiopia, il Luce divenne elemento di contesa persino all’interno dello stesso Partito nazionale fascista. Il Reparto per l’Africa Orientale – che si era distinto per il lavoro di documentazione sul campo – attirò l’attenzione di alcuni gerarchi che per brama di potere tentarono di prendere il controllo dell’Ente sul suolo africano. Intervenne Mussolini in persona affermando che «il Reparto del Luce non si tocca» (Laura 2000: 143).
Quando venne fondata la Repubblica di Salò, Mussolini – per proteggere il suo strumento di propaganda dalle forze Alleate – decise di trasferire il Luce a Venezia, nell’albergo Bonvecchiati. Nonostante ciò, dopo la liberazione della Capitale il patrimonio audiovisivo ancora conservato nella storica sede del Quadraro «fu in buona parte requisito dall’esercito americano, che lo restituì solo alla fine degli anni Sessanta» (Brunetta 2003).
Anche i tedeschi – come per le spoliazioni delle opere d’arte – fecero pressioni per impadronirsi del materiale del Luce. I nazisti confiscarono un treno carico di attrezzature per la nuova sede di Venezia, partito da Roma il 16 ottobre 1943, lo stesso giorno del tragico rastrellamento del Ghetto.
La Resistenza – evidentemente da espungere dalle narrazioni – era un’entità pressoché invisibile nel racconto visivo del Luce, ma nel 1944 un incendio devastò materiali e attrezzature dell’albergo Bonvecchiati. L’azione non fu mai rivendicata dai partigiani ma i lavoratori del Luce, legati agli ambienti della Resistenza, riconobbero la matrice antifascista del gesto perché «[…] colpendo l’Istituto Luce, abbattendo i suoi macchinari, si voleva ridurre al silenzio uno dei puntelli più forti della propaganda di regime» (Lussanna 2018: 269). Seguì poi l’attacco partigiano a un camion che trasportava le pellicole del Luce.
Dopo la Liberazione, i partigiani occuparono l’albergo Bonvecchiati e con gli stessi operatori del Luce, legati alla Resistenza, girarono Venezia insorge, un documentario che mostrò per la prima volta i festeggiamenti per la caduta del fascismo.
Finita la guerra, il nuovo governo repubblicano dovette porsi il problema di come gestire la scomoda eredità del Luce. Rinominato “Istituto Nazionale Luce Nuova”, nel 1947 venne messo in liquidazione. Questo però non è mai avvenuto: per preservare il materiale tecnologico e l’esperienza delle maestranze furono emanati una serie di decreti mirati a mantenerlo in attività.
Dagli anni Sessanta a oggi è iniziata un’opera di catalogazione, conservazione, restauro e digitalizzazione del patrimonio dell’Archivio Luce. Dal 2013, unico caso tra gli archivi audiovisivi italiani, è stato inserito nel registro “Memory of the World” dell’UNESCO con la seguente motivazione: «La collezione costituisce un corpus documentario inimitabile per la comprensione del processo di formazione dei regimi totalitari, i meccanismi di creazione e sviluppo di materiale visivo e le condizioni di vita della società italiana. Si tratta di una fonte unica di informazioni sull’Italia negli anni del regime fascista, sul contesto internazionale del fascismo (tra cui l’Africa orientale e l’Albania, ma anche ben oltre le aree occupate dall’Italia durante il fascismo, soprattutto per quanto riguarda il periodo della Seconda Guerra Mondiale) e sulla società di massa negli anni Venti e Trenta del Novecento».