CAMERA DEL LAVORO – SEDE NAZIONALE DELLA CGIL
Corso Italia, 25, Roma, RM, Italia
Michele Catapano

L’edificio che ospita attualmente la sede nazionale della CGIL ha origini incerte, ma riconducibili ai primissimi anni del Novecento: è visibile la firma del capocantiere, apposta su un muro, a conclusione dei lavori nel 1909. In questo stabile viene collocata la sede della Confederazione fascista dei sindacati dell’agricoltura, nel 1936, su progetto di Florestano Di Fausto. Nel corso del secolo, l’edificio ha subito ulteriori interventi di ristrutturazione, ma sono ancora visibili alcune evidenze di stampo fascista. Su tutte, gli altorilievi che fiancheggiano l’ingresso, allegorie della vita e del lavoro agricolo. Proprio come un'altra sede sindacale della città – la UIL di via Lucullo 6 – anche il palazzo di Corso Italia, durante l’occupazione, divenne sede del Comando generale tedesco, in seguito all’attentato partigiano che costrinse i nazisti ad abbandonare il precedente presidio, l’Hotel Flora di via Veneto. Nel dopoguerra, lo Stato assegna al sindacato tre piani del palazzo, ma la CGIL diverrà proprietaria dell’intero immobile solo all’inizio degli anni Ottanta. L’edificio di Corso Italia conserva tutt’oggi una considerevole collezione di opere d’arte originarie del Ventennio, già presenti ai tempi della Confederazione fascista dei lavoratori, come del resto buona parte del mobilio nei vari uffici, oltre a pezzi del dopoguerra e del periodo più recente. Il rapporto degli attuali inquilini del palazzo con il suo passato nero risulta tutt’altro che traumatico. Dal racconto di Patrizia Lazoi e Ilaria Romeo – rispettivamente curatrice della raccolta d’arte e responsabile dell’Archivio storico della CGIL – in occasione di una visita guidata per la Giornata Mondiale dell’Antropologia (21 febbraio 2025), il sindacato ha “riconquistato” alla sua vocazione originaria quella di casa dei lavoratori, un luogo in qualche modo violato dal nazifascismo. È peculiare che il sito sia stato oggetto di attentati di stampo neofascista a più riprese. L’ultimo, eclatante, episodio è l’assedio guidato dai vertici di Forza Nuova nel 9 ottobre 2021, dove i due altorilievi all’ingresso sono rimasti intatti. Questo ha suscitato nei dipendenti del sindacato anche sentimenti di affetto: la “riconquista”, a questo punto, è totale e compiuta, anche rispetto agli elementi architettonici più “fascisteggianti”. Ciò è facilitato sul piano estetico anche dalla mancanza di simboli fascisti forti ed espliciti, come i fasci littori, e dal fatto che le immagini del fascismo proletario – tanto nella scultura quanto nella pittura – non differiscono di molto da quelle del realismo socialista, in arte e in architettura. Ad ogni modo, limitare l’osservazione a questo piano sarebbe inopportuno, e occorre rilevare come la rivendicazione attuale dell’edificio sia praticata con coscienza storica. Il lavoro di coinvolgimento memoriale e conoscenza dell’ “altro” (fascista) - operato dalle dottoresse Lazoi e Romeo – è quanto emerge di una “scomodità” che non si nasconde, non intende nascondersi; anzi ci si impegna a far conoscere, tramite mostre e appuntamenti come quello del 21 febbraio, una storia restituita e conciliata (Ventrone 2017) in un processo democratico moderno, di una “partecipazione riflessiva a una cultura” (Assmann 1997: 103). Il palazzo di Corso Italia, che all’inizio del secolo scorso doveva apparire nel più tipico stile liberty, testimonia oggi come l’architettura fascista – ma in verità l’architettura tutta – segni al contempo, nel paesaggio urbano delle nostre città, momenti di coerenza e discontinuità; i palazzi, i monumenti, le strade, sono veri e propri “documenti” degli eventi del passato e dei processi di trasformazione di cui sono stati protagonisti (Del Monte 2021).