top of page

Busto di Antonio Baldissera

Passeggiata del Pincio, Viale Gabriele D'Annunzio, Roma, RM, Italia

Giacomo del Gracco

Busto di Antonio Baldissera

Nella notte tra 18 e 19 giugno del 2020, durante la notte, gli attivisti di Rete “Restiamo Umani” imbrattarono il busto, situato al Pincio, Villa Borghese (Roma) di Antonio Baldissera, generale protagonista della prima espansione coloniale italiana nel Corno d’Africa. Nato nel 1838 a Padova, militò nelle file dell’esercito austriaco fino al 1866, quando, con la fine della terza guerra d’indipendenza, entrò a far parte dell’esercito italiano, mantenendo il suo grado di ufficiale. Il mantenimento del grado lo portò a essere una figura anomala all’interno del corpo ufficiali in quanto non apparteneva né alla vecchia generazione dei nobili, né alla nuova generazione di estrazione borghese. A ciò va aggiunto un metodo di comando all’ “antica”, che lo rese agli occhi dei suoi contemporanei un “militare integrale”, espressione di una tradizione da contrapporre all’Italia giolittiana e alla sua “crisi di valori” (Labanca 1992). Baldissera fu fatto oggetto di celebrazione e mitizzazione del suo operato coloniale in quanto considerato meno “problematico”, visto che il suo nome non rimandava a disfatte militari come Adua o a fallimenti diplomatici come il trattato di Uccialli. Tale tema non riguardò il solo periodo liberale ma continuò con il fascismo che inaugurò, nel 1932, il busto a lui dedicato al Pincio: atto che va inquadrato nel più ampio contesto propagandistico pre-guerra d’Etiopia. Non è un caso che nelle sue immediate vicinanze siano presenti altri busti di personaggi legati al continente africano, come Tommaso Gulli e Guglielmo Massaia. Tali compresenze portano con sé una domanda: perché l’imbrattamento ha riguardato solo lui e non altri “personaggi scomodi”? Una prima questione si può spiegare nei termini di “onda lunga”: Baldissera fu il creatore delle truppe coloniali degli Ascari, le quali vicende hanno oscurato altri accadimenti come lo scandalo Livraghi, dove si scoprirono fucilazioni sommarie, incarcerazioni e deportazioni di ribelli all’interno della colonia eritrea. Atti che il generale non fu né il primo né l’ultimo a compiere, ma di cui si prese, quasi orgogliosamente, la responsabilità, vista la protezione fornita dal re Umberto I, difendendo con convinzione la liceità delle proprie azioni. Si tratta di aspetti che la storiografia di oggi ha rilevato nelle dissonanze tra la propaganda e le sue “opere”, quasi in un gioco tra pesi e contrappesi, decostruendo il suo mito. Una seconda questione va individuata nella natura collettiva del Pincio, dove i busti smettono di rappresentare un singolo individuo promuovendo la creazione di un paesaggio mentale che “disinnesca” i valori di cui sono portatori e che azioni come il lancio di vernice riportano alla luce.

bottom of page